Un po' di storia.
Il palladianesimo sarà un argomento su cui voi dovrete avere molta pazienza e molto occhio affinato perché gli elementi che ci riconducono all’estro architettonico palladiano a volte sono estremamente difficili da cogliere.
Il palladianesimo è sedimentato all’interno della mente dell’autore per cui è molto più difficile coglierlo, perché è rivisitato, rimasticato, fatto proprio e quindi rivissuto con scansioni che noi con maggior difficoltà riusciamo a cogliere.
Pertanto parto facendo una specie di ripasso veloce di Palladio.
Palladio non è vicentino, ma è nato a Padova nel 1508 con il nome di Andrea di Pietro della Gondola ed ha un padre che fa il mugnaio. Abita a Padova che era lo “ studium “ cioè l’Università italiana che più era legata al mondo romano, non per niente a Padova era nato Tito Livio il più grande storico di Roma.
Quindi questo contatto continuo con l’antichità e con il classico era un legame profondo della città. La Cappella degli Scrovegni, che in origine si chiamava Cappella all’Arena o dell’Arena, era situata nel luogo ove in origine esisteva l’arena romana.
Transitando per il territorio della Serenissima, ed a quel tempo si viaggiava con una facilità che era pari, se non superiore, a quella attuale, avevamo Verona con tutti i monumenti romani tra cui l’arena, per cui questo legame con il mondo romano con la classicità era già ben presente nella città del Santo e quindi faceva già parte del bagaglio culturale degli scalpellini o dei capimastri che lavoravano a Padova, soprattutto nella bottega dove il giovane Andrea era stato messo come apprendista.
Viste le condizioni in cui era tenuto, la pesantezza del lavoro ma soprattutto il rapporto difficile con il capo bottega, il giovane Andrea fugge da Padova e viene a rifugiarsi dai cugini della madre che hanno una bottega in contrà Pedemuro San Biagio tenuta da Giovanni di Giacomo da Porlezza e Girolamo Pittoni da Lumignano, a quell'epoca scultori molto famosi a Vicenza, da cui il nome generico dei “Pedemuro” per riguardare tutti i componenti di questa importante bottega vicentina.
Viene poi richiamato a Padova; la rescissione dal contratto è abbastanza complessa ed è documentata da fonti storiche scritte, per cui noi abbiamo i documenti relativi. I da Porlezza riescono a rescindere il contratto con il capomastro padovano ed il giovane Andrea rimane stabile nella bottega dei Pedemuro, dove passano i più importanti architetti veneti, o comunque operanti nel nord Italia, del tempo: dal Sammicheli a Giulio Romano.
Tutti passano da questa bottega, tutti vengono convocati a Vicenza per dare la loro opinione e consigli su quello che si doveva fare per porre mano in qualche modo al disastro delle logge della Basilica di cui parleremo a tempo debito.
Intorno ai 25 anni ha l’incontro veramente fortunato con Giangiorgio Trissino, da cui nascerà la sua avventura di vero e proprio architetto. Io qui non ho messo la villa Cricoli, dando per scontato che la conosciate.
Il Palladio non arricchirà mai con il suo lavoro di architetto, non acquisterà mai "fama internazionale" tra virgolette durante la sua vita, perché a quel tempo era più rinomato Giulio Romano come architetto.
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La sua fama ha fatto fatica a superare, lui vivente, il confine della nostra provincia e giungere fino a Venezia per fargli conquistare la carica di architetto della Serenissima, che ottiene solo alla morte di tutti gli architetti importanti a lui contemporanei.
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Questo architetto ha questo incontro fortuito con Giangiorgio Trissino, intellettuale, umanista, raccoglitore numismatico, collezionista, ma soprattutto appassionato di architettura, come molti nobili del tempo. Non solo appassionato di architettura ma anche interessato all’architettura, al fare architettura.
Nel fare il restyling della sua villa di Cricoli, che voleva trasformare nella sede di un’accademia in senso rinascimentale, cioè in un luogo di ritrovo per spiriti eletti con cui discutere di letteratura, di musica, di arte, vede al lavoro il giovane Andrea, mandato dalla bottega dei Pedemuro, mentre si apprestava a disegnare una scala da inserire all’interno di una delle torrette.
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Rimane talmente colpito dalla pulizia del disegno, dall’inventiva di posizionarla in modo da non rovinare gli spazi vitali della villa, da prenderlo sotto la sua ala protettrice e portarlo con sé in un importantissimo viaggio a Roma, durante il quale gli fa conoscere "l’intellighenzia romana", ma soprattutto gli permette di confrontarsi visivamente con le grandi risultanze ed emergenze architettoniche ed archeologiche romane e di potere disegnare sul luogo, misurando tutte le dimensioni di quanto gli interessava.
Torna a Vicenza e prende il nome dall’angelo vendicatore della tragedia di Giangiorgio Trissino: “ L’Italia liberata dai Goti “. Al di là di tutto Palladio, che io considero un geniale architetto, è frutto anche di una serie di incontri e di momenti fortuiti, perché è un lapicida che lavora in un’importante bottega di provincia, bottega cui si rivolgono tutti i nobili per ristrutturare le loro case, per fare eseguire i progetti realizzati da Giulio Romano che ho già citato, e da altri importanti architetti provenienti da fuori città.
E’ un giovane che si incrocia con un umanista, il Trissino, che diventa praticamente la longa manus, la mano esecutiva di una nobiltà vicentina in aperto contrasto, e uso il termine aristocrazia per segnare il contrasto, con l’aristocrazia veneziana.
Devo fare un passo indietro: 1404, anno della dedizione di Vicenza a Venezia. Biancamaria Visconti Sforza non ha più la forza militare per difendere la città di Vicenza, che fa parte del dominio lombardo. I vicentini quindi si trovano con i padovani alle porte.
La precedente invasione e conseguente conquista della città da parte dei padovani aveva causato un dominio sanguinosissimo, per cui cadere nelle mani dei padovani, ai vicentini non garbava affatto. Vicenza non sa quindi cosa fare; pensa addirittura di entrare nei dodici cantoni svizzeri; pensa di chiedere aiuto all’Imperatore ( ancora più distante ), di chiedere aiuto al Papa, fino a che scopre di avere Venezia molto più vicina, quindi più comoda.
Allora il Thiene va a Milano a chiedere a Bianca Visconti, visto che lui ha anche la tutela di suo figlio, se concede ai vicentini di liberarsi dal dominio lombardo e lui lascia i vicentini liberi di decidere quello che vogliono, visto che i Visconti non hanno più i mezzi per difenderli.
I vicentini quindi vanno a trattare con il doge di Venezia le condizioni migliori per entrare a far parte della Serenissima. A Venezia non li accolgono a braccia aperte, perché temono di mettersi contro Padova. Alla fine, dopo lunghe trattative, e nel ribollire del tempo, viene accettata la dedizione di Vicenza, che può mantenere le costituzioni esistenti allora in città, facendo mantenere ai vicentini tutte le strutture giuridiche esistenti. Questo assicurava ai nobili vicentini di mantenere le proprie prerogative, quindi i feudi, le tasse e tutte le loro fonti di guadagno. Sembra che vada tutto bene, ma non è così.
I nobili vicentini, Trissino in testa, erano convinti che una volta datisi a Venezia, l’aristocrazia veneziana avrebbe aperto loro le porte del consiglio dei cento e avrebbe fatto sedere al tavolo del comando i vicentini insieme ai veneziani. Ma era un’illusione che i veneziani dividessero il potere con i vicentini. Loro erano i dominanti ed i vicentini avrebbero mantenuto sì i loro possedimenti, però la politica l’avrebbe fatta Venezia.
Ecco il motivo per cui ivicentini a questo punto si sono sempre schierati contro ogni scelta veneziana, tant’è vero che hanno combattuto contro Venezia durante la lega di Cambrai, schierandosi con l’imperatore. La popolazione invece era a favore di S. Marco.
Cosa serve nel momento in cui in tutte le scelte della tua vita ti vuoi contrapporre alla dominante? Serve anche uno stile architettonico che ti opponga visivamente a Venezia.
A Venezia regna il gotico, fiorito, flambeggiante, con queste trine straordinarie sulla laguna; anche Vicenza è stata città gotica, perché i palazzi in contrà Porti sono gotici; la Ca’ d’Oro è gotica. Però nel ‘500, alla fine della lega di Cambrai, quando Vicenza ha dovuto rendersi conto che non si poteva staccare da Venezia, serve marcare evidentemente la differenza tra Vicenza e la sua nobiltà di origine imperiale - i Trissino dal vello d’oro le cui radici risalgono nella storia fin dai tempi di Giasone che è andato a strappare il vello d’oro, o che sono nobili imperiali con Federico II° di Svevia - in contrapposizione agli aristocratici, pecunia tenenti veneziani, ma senza patenti di nobiltà alle spalle. Marco la differenza dal punto di vista architettonico.
La mia città sarà una città di palazzi che riecheggiano nelle forme, nei volumi, nelle scelte le nostre radici imperiali romane. Dall’altra parte voi continuate a costruire con il linguaggio dei goti, il gotico che viene al di là delle Alpi. Il nostro architetto, colui che renderà la nostra città, la scenografia ideale di questo redivivo “ impero vicentino ”, sarà Palladio ed il suo nome sarà il nome dell’angelo vendicatore della tragedia “ L’Italia liberata dai goti “ di Giangiorgio Trissino, che nel titolo ha “ L’Italia liberata dai goti “, l’angelo che difende l’Italia dai goti, dai barbari, l’angelo che difenderà Vicenza con le sue architetture, estirpando quel gusto del gotico, di arte che viene dal di là delle Alpi, che invece è proprio della Serenissima Repubblica.
Vedete quindi che si gioca una partita politica sulle scelte architettoniche. Quindi ciò è molto importante, perché cade esattamente a fagiolo per l’esigenza della cittadinanza vicentina di manifestare la propria autonomia dalla Serenisssima Repubblica di Venezia.